Il caso Eternit bis: quando la prescrizione brucia la giustizia ambientale
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Scenario di uno stabilimento Eternit abbandonato, simbolo del disastro ambientale |
Introduzione
“Si estingue per prescrizione, ma non si estingue nella memoria collettiva.” Così potremmo riassumere l’effetto giuridico e sociale della sentenza Cass. pen., Sez. I, n. 7941/2015, depositata il 23 febbraio 2015, con cui la Suprema Corte ha dichiarato l’intervenuta prescrizione del reato di disastro ambientale doloso a carico dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, ex dirigente dell’Eternit.
Ma questo non è solo un caso giudiziario. È un simbolo giuridico, uno spartiacque sociale, una ferita ancora aperta nella storia italiana dei diritti ambientali.
La vicenda giudiziaria
L’“Eternit bis” trae origine dalla prosecuzione dell’azione penale per fatti collegati alla produzione dell’amianto nello stabilimento di Casale Monferrato e in altri poli italiani dell’ex multinazionale. Dopo l’annullamento con rinvio della precedente condanna per disastro ambientale colposo, la Procura di Torino riavviava l’azione penale ipotizzando il disastro doloso.
Ma la Corte di Cassazione ha ritenuto che, anche nella forma dolosa, il reato fosse già prescritto.
Nella motivazione, la Corte riconosce la gravità dei fatti e la permanenza dell’offesa, ma rimette il perimetro dell’azione penale al rigore della legge positiva, ribadendo che il giudice non può superare i limiti temporali fissati dall’ordinamento.
Disastro ambientale: natura e limiti della tutela penale
La sentenza riapre un interrogativo fondamentale: il reato di disastro ambientale doloso è davvero idoneo a rispondere alla complessità e durata degli eventi lesivi ambientali?
Il delitto di cui all’art. 434 c.p. — nel testo precedente alla riforma del 2015 — si scontra con una realtà in cui le conseguenze dell’inquinamento si protraggono per decenni, mentre la giurisdizione si ancora a principi di tassatività e certezza che non sempre si adattano alla “temporalità lunga” dei crimini ambientali.
Prescrizione e giustizia: un equilibrio impossibile?
La decisione della Cassazione non è solo una chiusura processuale. È una frattura tra diritto e percezione di giustizia.
Migliaia di vittime, esposti e familiari, rimangono senza una risposta giudiziaria definitiva, pur in presenza di condotte che, se accertate, sarebbero di eccezionale disvalore.
È il paradosso della prescrizione: strumento di garanzia, ma anche causa di frustrazione sociale quando si applica a fatti di massa e a effetti non reversibili.
Uno sguardo oltre: verso una giustizia ambientale effettiva
Il caso Eternit bis ha segnato un punto di svolta. La successiva introduzione dell’art. 452-quater c.p. (disastro ambientale) e la crescente attenzione della Corte EDU ai profili di tutela della vita e della salute nei contesti inquinati, dimostrano che il diritto sta evolvendo.
Ma la vera giustizia ambientale richiede tempi compatibili con la scienza, con l’epidemiologia, con la storia umana. E non può essere ostaggio delle scadenze del codice penale.
Conclusione
Il Caso Eternit bis non è finito con la Cassazione. Continua a vivere nel dibattito giuridico, nelle aule universitarie, nelle battaglie legislative e, soprattutto, nella memoria di chi ha pagato con la vita.
Se oggi parliamo di diritto ambientale come diritto fondamentale, lo dobbiamo anche a quella pronuncia — dolorosa, contestata, ma necessaria — che ha fatto esplodere il tema della giustizia sostenibile in Italia.
Riferimenti
Cass. pen., Sez. I, sent. n. 7941/2015, ud. 19/11/2014, dep. 23/02/2015
Art. 434 c.p. (versione ante D.Lgs. 7 luglio 2011, n. 121)
Art. 452-quater c.p., introdotto con L. 22 maggio 2015, n. 68
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, art. 2 e 8
CEDU, Öneryildiz c. Turchia, Giuliani e Gaggio c. Italia
Fonti
Cassazione penale, Sez. I, Sentenza 23 febbraio 2015, n. 7941
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