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Misure di prevenzione, pericolosità sociale e confisca: la Cassazione richiama la CEDU

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Presunzione di innocenza e misure di prevenzione

Presunzione di innocenza e misure di prevenzione: la Cassazione tutela i limiti della confisca

Introduzione

Con la sentenza n. 45280 del 10 dicembre 2024, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione affronta il delicato tema della confisca di prevenzione fondata sulla pericolosità sociale generica, chiarendo i limiti costituzionali e convenzionali entro i quali tale misura può legittimamente operare.

In particolare, la Corte esclude la possibilità di fondare il giudizio di pericolosità su fatti oggetto di sentenze definitive di assoluzione, riaffermando la centralità del principio di presunzione di innocenza sancito dall’art. 6, comma 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il caso concreto

La vicenda riguarda un professionista condannato per reati tributari e fallimentari commessi tra il 2015 e il 2018. La Corte d’appello, estendendo la pericolosità sociale fino all’anno 2011, aveva valorizzato una sentenza di assoluzione pronunciata nel 2015 per fatti relativi a condotte fiscali del 2011.

Su questa base era stata disposta la confisca di diversi beni, anche in danno di terzi, tra cui la moglie, per ritenuta sproporzione rispetto ai redditi leciti. Il ricorso ha sollevato il tema della legittimità di fondare misure patrimoniali su fatti già oggetto di assoluzione definitiva.

I principi affermati

La Corte ha annullato il provvedimento impugnato, stabilendo che il giudice della prevenzione non può utilizzare, come base indiziante della pericolosità sociale, fatti esclusi da una sentenza irrevocabile di assoluzione, neppure mediante una “valutazione autonoma” propria del procedimento di prevenzione.

La decisione si fonda su una lettura coerente con:

  • la sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale, che ha individuato i requisiti minimi per la pericolosità generica;
  • la giurisprudenza della Corte EDU in tema di presunzione di innocenza (art. 6, § 2 CEDU);
  • la sentenza Zangrillo, Cass. pen., Sez. V, n. 182/2020, che vieta di assumere come base per la prevenzione fatti già esclusi in via definitiva in sede penale.

I requisiti della pericolosità generica

La Corte costituzionale, con sentenza n. 24/2019, ha chiarito che la pericolosità generica ex art. 1, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 159/2011 può essere riconosciuta solo in presenza di un triplice requisito:

  1. Delitti commessi abitualmente, e non in via episodica;
  2. Significativo arco temporale di commissione delle condotte;
  3. Effettiva produzione di reddito illecito, in misura tale da costituire una fonte rilevante o esclusiva di sostentamento.

Il giudizio non può basarsi su mere presunzioni, frequentazioni o rilievi generici: serve una base fattuale precisa, attuale e motivata.

Il ruolo della presunzione di innocenza

La sentenza ribadisce che la presunzione di innocenza, sancita dall’art. 6, §2, CEDU, non si esaurisce nel processo penale, ma continua a proiettare i suoi effetti anche nei procedimenti successivi, come quelli di prevenzione patrimoniale.

Secondo la giurisprudenza della Corte EDU, tale principio impone che nessun soggetto già assolto possa essere successivamente trattato come colpevole da autorità pubbliche o giudiziarie, anche in procedimenti diversi e formalmente autonomi.

Già con la sentenza n. 17475/09 del 1° ottobre 2013, la Corte ha chiarito che l’art. 6 §2 si applica anche a procedimenti estranei a un’accusa penale formale, purché correlati al procedimento originario, in cui l’interessato era stato accusato. A rafforzare questa prospettiva è intervenuta, di recente, la sentenza Rigolio c. Italia (9 marzo 2023), che ha ribadito la necessità di evitare che chi è stato assolto venga trattato come colpevole, anche solo indirettamente o per via di presunzioni.

In particolare, la Corte EDU ha osservato che l’art. 6 §2 impone garanzie su:

  • l’onere della prova a carico dell’accusa;
  • il diritto a non autoincriminarsi;
  • il linguaggio delle autorità pubbliche, che non può mai presupporre la colpevolezza di chi non sia stato condannato;
  • il rispetto della reputazione dell’assolto, anche al di là del procedimento penale chiuso.

Conclusioni

La sentenza n. 45280/2024 costituisce un fondamentale arresto giurisprudenziale a tutela dei principi di legalità, tassatività e proporzionalità in materia di misure patrimoniali. Stabilisce che:

  • La pericolosità sociale deve essere perimetrata storicamente, senza fondarsi su fatti già oggetto di assoluzione;
  • Le misure di prevenzione non possono fungere da surrogato della condanna penale;
  • Il principio di presunzione di innocenza si impone anche in sede ablativa, quale presidio di legalità sostanziale e di coerenza sistemica.

Si tratta di un passo ulteriore verso una giurisdizione di prevenzione costituzionalmente orientata, che respinge ogni tentazione di espansione indebita del potere punitivo, riaffermando i limiti della responsabilità personale e patrimoniale.

Riferimenti normativi e giurisprudenziali

  • Art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 159/2011 – Codice Antimafia
  • Corte cost., sent. n. 24/2019
  • Cass., Sez. V, sent. n. 182/2020, Zangrillo
  • Corte EDU, Rigolio c. Italia, 9 marzo 2023
  • Art. 6 § 2 CEDU – Presunzione di innocenza
  • Art. 27, comma 2 Cost. – Non colpevolezza fino a condanna definitiva
  • Cass. Sez. Un., Spinelli, n. 4880/2014 – Perimetrazione della pericolosità sociale

Fonte
Cass. pen., Sez. VI, sent. 10 dicembre 2024, n. 45280

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