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Lo Stato in allerta: leggere tra le righe della paura. Cosa raccontano i 39 articoli del DL Sicurezza 2025

DL Sicurezza 2025: radiografia di uno Stato in trincea Decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 Capo I Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata, nonché in materia di beni sequestrati e confiscati e di controlli di polizia Analisi dell’Articolo 1 Articolo 1 – Introduzione dell'articolo 270-quinquies.3 e modifica all'articolo 435 del codice penale Contenuto normativo L’articolo 1 introduce nel codice penale l’articolo 270-quinquies.3 e modifica l’articolo 435. Entrambi riguardano reati legati al terrorismo e alla sicurezza pubblica. Il nuovo   art. 270-quinquies.3   verosimilmente punisce atti preparatori e condotte prodromiche all’esecuzione di atti terroristici. Non si tratta solo di chi compie l’atto, ma anche di chi si forma, si addestra o partecipa a reti che possano sfociare in terrorismo. L’art.   435 c.p. , invece, viene aggiornato per estendere la punibilità in tema di esplosivi, rendendo più facile colpire condotte p...

CEDU condanna l’Italia per il 41-bis a Giuseppe Morabito: il carcere duro è una violazione dei diritti umani

 CEDU: il 41-bis viola i diritti umani. 

L’Italia condannata per il regime imposto a Giuseppe Morabito

Una delle celle del regime 41-bis, con finestra blindata e aperture minime. Il simbolo dell’isolamento estremo imposto dallo Stato

Introduzione

Con decisione del 15 aprile 2025, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato italiano per la protrazione del regime di 41-bis nei confronti di Giuseppe Morabito, detto “u tiradrittu”, figura storica della 'ndrangheta reggina. Secondo la Corte di Strasburgo, il trattamento riservato al detenuto ha violato l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che proibisce in modo assoluto pene e trattamenti inumani o degradanti.

Il regime del 41-bis e il caso Morabito

Morabito è ristretto da oltre un decennio in un regime di isolamento estremo, caratterizzato da misure rigide: limitazione dei colloqui, isolamento prolungato, sorveglianza costante, restrizione dell’attività fisica, censura della corrispondenza, divieto di contatti significativi con altri detenuti.

La Corte EDU ha rilevato l’assenza di una rivalutazione effettiva della pericolosità sociale del detenuto, evidenziando come il rinnovo del 41-bis sia avvenuto con motivazioni stereotipate e senza un’analisi concreta dell’evoluzione del suo comportamento in carcere. La mera appartenenza al passato mafioso non può, di per sé, giustificare indefinitamente una misura tanto afflittiva.

Il 41-bis: tra sicurezza e disumanità

Introdotto per contrastare le mafie, il carcere duro ha assunto progressivamente un carattere sistemico, trasformandosi da misura emergenziale a ordinario strumento repressivo. Le condizioni di detenzione imposte — celle anguste, luce artificiale costante, negazione del contatto umano — configurano un quadro di isolamento sensoriale e psichico che la CEDU ha più volte stigmatizzato come incompatibile con la dignità umana.

Il caso Morabito rappresenta un punto di rottura: il diritto non può perdere la sua umanità nemmeno nei confronti dei peggiori criminali. Il carcere non può divenire strumento di vendetta dello Stato, ma deve rimanere ambito di rispetto dei diritti fondamentali.

La difesa

A rappresentare Giuseppe Morabito dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata l’avv. Giovanna Beatrice Araniti. La legale ha costruito un impianto difensivo fondato sull’incompatibilità tra il regime detentivo ex art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario e gli standard minimi di umanità richiesti dalla Convenzione Europea. In particolare, ha sottolineato l’assenza di una rivalutazione concreta delle esigenze sottese al regime speciale, la durata eccessiva della misura e la sostanziale cristallizzazione della presunzione di pericolosità.

La posizione dello Stato italiano

Le autorità italiane avevano giustificato il mantenimento del 41-bis con la persistente pericolosità del detenuto e la necessità di impedire legami con l’organizzazione mafiosa. Tuttavia, la Corte EDU ha chiarito che la mera appartenenza a un clan non può giustificare a tempo indeterminato la compressione assoluta dei diritti della persona, senza una valutazione dinamica e personalizzata.

La difesa ha dunque posto l’accento sul necessario equilibrio tra sicurezza pubblica e diritti inviolabili della persona, richiamando la giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo in tema di trattamenti inumani e degradanti.

Implicazioni giuridiche

La sentenza impone una rivalutazione sistemica delle proroghe del 41-bis, in aderenza ai principi di proporzionalità e individualizzazione della pena. Il rischio, secondo Strasburgo, è quello di un automatismo incostituzionale, che elude il principio del giusto equilibrio tra sicurezza collettiva e diritti inviolabili del detenuto.

Inoltre, la pronuncia riafferma il principio secondo cui nessuna finalità di prevenzione può giustificare trattamenti inumani, ponendo un freno alla logica emergenziale che spesso governa il diritto penitenziario italiano.

Conclusione

Il caso Morabito segna una nuova censura internazionale all’impianto repressivo italiano, sollecitando una riforma profonda del regime 41-bis. Se il contrasto alla mafia è un imperativo dello Stato di diritto, la sua credibilità si misura anche nel rispetto dei diritti delle persone private della libertà.

La sfida per il legislatore e per la magistratura di sorveglianza sarà quella di riconciliare sicurezza e umanità, senza rinunciare alla Costituzione e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Riferimenti normativi

  • Art. 3 CEDU – Proibizione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti

  • Art. 41-bis O.P. – Regime detentivo speciale

  • Art. 27 Cost. – La pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità

  • Art. 6 CEDU – Diritto a un processo equo

  • Art. 111 Cost. – Giusto processo

Fonti

  • La Repubblica – 15 aprile 2025

  • Il Dubbio – 15 aprile 2025

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